Lomography x Spazio Labò - Inconscio Tecnologico: Intervista a Sofia Dora Chilleri

Lo scorso marzo si è tenuto un interessantissimo laboratorio nato dalla collaborazione tra Spazio Labo' e Lomography: stimolati dal saggio di Franco Vaccari, Fotografia e Inconscio tecnologico, in cui l’autore invita alla riflessione sullo strumento di ripresa e sul significato della fotografia nella società contemporanea, i partecipanti sono stati invitati a sviluppare un progetto fotografico con le fotocamere medio formato Diana F+, rullini Lomography e il kit di scansione DigitaLIZA Max. In questa intervista incontriamo Sofia Dora Chilleri, che ci parla del suo progetto.

Il formicaio © Sofia Dora Chilleri

Ciao Sofia, benvenuta sul nostro Online Magazine! Potresti fare una tua piccola presentazione per i lettori del nostro Online Magazine?

Mi chiamo Sofia Dora, di qui il mio nome da "fotografa" "SofiaOdora", un gioco di parole che rimanda alla possibilità di leggere e vedere, "sentire", le cose in tanti modi, scegliendo quello che si preferisce o più semplicemente che più ci appartiene. Rappresento al 100% quello che è il luogo delle mie origini, il quartiere di San Frediano, a Firenze, tanto ben descritto da quel grande romanzo che è "Le ragazze di San Frediano" di Vasco Pratolini. Sono, insomma, una ragazza di quartiere. Anche se adesso abito in un altro quartiere, quello di San Donato, a Bologna. Mi piace fare le cose a modo mio, senza dover cercare il conforto del riscontro positivo degli altri, banalmente mi piace dire la mia senza cercare l'approvazione del prossimo. Mi sono occupata di tante cose diverse, ho fatto tanti mestieri diversi. Ho studiato lingue, letteratura, filologia, all'università. La verità è che non mi piace vedermi inquadrata in una disciplina, in sintesi a me piacciono l'arte e l'umano ingegno in tutte le sue sfumature; non mi piace dover scegliere tra tante cose che amo profondamente se posso abbracciarle tutte. Mi piacciono i gatti e le piante, le stagioni di transizione, le cose imprevedibili e la routine. Amo la grandezza delle cose apparentemente insignificanti.

Raccontaci del tuo background fotografico: quando hai iniziato il tuo viaggio nel mondo della fotografia?

Questa domanda è una domanda difficile, non so dare una risposta davvero lineare. Sento di aver sempre vissuto in un mondo immaginario e inaccessibile agli altri. Un mondo multisensoriale fatto di pensieri, immagini, parole, intrecciate in riflessi e ombre. Ho sempre pensato che ogni essere umano abbia un suo modo di vedere le cose, quelle materiali come quelle astratte. Ho sempre pensato anche che ci fosse una parte di me, probabilmente la più importante e significativa, di difficile accesso. E se da una parte questa esclusività mi è sempre sembrata intima, naturale, necessaria, segreta, dall'altra c'è stato un percorso di ricerca comunicativa, di condivisione con il prossimo. Qualcosa che per me è difficile, perché sono una persona che difficilmente concede l'accesso. Questo percorso si è svolto in maniera sempre discontinua e confusa. Ho pensato tante volte di non volerlo proprio fare, ma credo di aver sempre cercato, in maniera goffa e spesso inconsapevole, il contatto con gli altri in tanti modi. Nella vita delle cose concrete, cercando di esprimermi con i fatti più che con le parole; sono infatti una persona di gesti e azioni. Con le parole ho sempre avuto tanta difficoltà, il che rappresenta un grande paradosso, perché la mia grande passione è da sempre la scrittura, ed è lì che ho sempre trovato un riparo dalle cose. Sempre da piccola, mi piaceva tanto disegnare, comporre scenari, costruire cose. L'amore per l'arte visiva e il senso estetico sono qualcosa che mi ha accompagnato dal primo giorno in cui ho iniziato a guardare tutto come un mistero, qualcosa che non si può capire ma della quale non si smette mai di meravigliarsi. Nella bellezza ho sempre trovato una forza che mi permetteva di dare un senso al tutto, anche quando non lo trovavo nelle cose "vere". Sembra banale, e probabilmente lo è, ma ogni cosa è straordinaria, e vale la pena guardarla, scoprirla, sezionarla. Non so perché da grande mi sia capitato di pensare di provare a fare fotografia.

Il formicaio © Sofia Dora Chilleri

Non ho pensato "oggi inizio a provare questa cosa", è solo capitato. Non mi sento di poter parlare di un mio percorso nel mondo della fotografia, per me la fotografia è il risultato naturale di tante cose che ho sentito dentro e ho provato a far vedere alle altre persone attraverso un mezzo il più immediato possibile. Posso dire che se nella scrittura rimango un po' schiava di un certo tipo di formazione e virtuosismo, nella fotografia, essendo profondamente e orgogliosamente non istruita, posso gioire dell'assenza totale di ogni tipo di struttura, e questo mi fa sentire molto libera di giocare e sperimentare, assumendomene completamente il rischio di essere imperfetta, imprecisa, priva di una tecnica. E sentendomi ok in questo. Forse la fotografia è arrivata in un momento in cui avevo bisogno di entrare in contatto con delle parti di me prive di struttura e logica. Non saprei, è arrivata e basta, ed è stato un qualcosa di grandissimo per il semplice fatto che mi ha riempita di gioia e passione, mi ha acceso una miccia. Io credo che in generale la cosa più bella di tutte sia sentirsi liberi di provare, e giocare, senza prendersi troppo sul serio. La fotografia mi ha molto aiutata in questo, e quindi posso solo dire che per me è un tassello fondamentale per il mio percorso di persona che cerca cose. Sono semplicemente profondamente innamorata di quello che faccio, e tanto mi basta. Mi piace molto scattare in analogico e non mi piace la post produzione - infatti non post produco in nessun modo. Mi sembra di "barare" e il risultato mi sembra poco autentico.

Il formicaio © Sofia Dora Chilleri

Cosa ti ha spinto a mandare la tua candidatura per partecipare a questo progetto speciale in collaborazione con Spazio Labò?

Avevo voglia di provare qualcosa di diverso rispetto a quello che ho "sempre" fatto in fotografia. Ad oggi - nuovi scenari rimangono ancora misteriosi ma da esplorare - ho sempre scattato istantanee. Non avevo praticamente mai scattato con dei rullini, considerando l'esperienza della bambina che ero negli anni '90 a parte, ovviamente. Quando ero piccola ho scattato foto con delle macchinette usa e getta, e con una macchinetta stranissima che mi ricordo era difficilissima da aprire e mi faceva uscire il sangue dalle unghie ogni volta che provavo ad aprirla, faceva come una forma a L, una volta aperta. Quando ho visto la call ho solo pensato potesse essere una buona occasione per fare qualcosa di diverso. In realtà poi ho avuto la fortuna anche di incontrare delle persone che mi sono molto piaciute, e questa è una bella parte della storia.

Per questi scatti hai utilizzato la nostra fotocamera medio formato Diana F+: quali sono le caratteristiche che hai apprezzato maggiormente?

Quello che mi piace dei prodotti che ho provato fino ad adesso di Lomography è soprattutto il fatto che il risultato è spesso e volentieri fortuito, inaspettato, sorprendente. In questo senso la Diana ha perfettamente rispettato le aspettative, anche se per ottenere un certo tipo di risultato è bene conoscere un minimo la macchina con cui si scatta e, come ho detto, per me in un certo senso addirittura era la prima volta che fotografavo con una macchina a rullino. Ho apprezzato la possibilità, tra le altre, di fare doppie esposizioni; è qualcosa che già avevo provato ma mi diverte sempre.

Per la scansione hai anche utilizzato il nostro Kit di scansione DigitaLIZA Max: come ti sei trovata?

Anche questa una nuova esperienza. Mi è piaciuta questa cosa in generale di lavorare sulla pellicola, e non sulle istantanee come ho sempre fatto finora. è stato come scoprire una dimensione diversa, e questo è stato interessante, e probabilmente vorrò approfondirlo. Mi ha divertita il fatto di poter scorrere liberamente il cursore sulla pellicola retroilluminata, come se fosse una mappa da tagliare e con la quale giocare. E catturare velocemente pezzi di pellicola, decidendo come tagliarli.

Parlarci del concetto dietro questa tua serie.

Non sono sicura che sia bellissima, anzi. Si vede che per me è stato molto difficile confrontarmi con un mezzo che non conosco, sono molto più contenta delle foto che faccio con la mia Lomo'Instant o la Lomo'Instant Wide.

© Sofia Dora Chilleri - Lomo'Instant Wide

Posso dire che c'è dietro del pensiero però, sicuramente. La mia idea iniziale era quella di conoscere lo spazio attraverso la persona. Guardando il risultato, mi sono resa conto che senza nemmeno accorgermene ho fatto il processo inverso: ho letto uno spazio attraverso lo sguardo di una persona. O almeno, a me sembra così. Ho cercato di far vedere come uno spazio dice qualcosa di chi lo abita, e sono finita per far vedere come lo spazio è percepito da chi lo osserva. Questo risultato mi ha sorpresa perché non è quello che aspettavo, ma la bellezza del mondo della Lomografia è proprio questa; l'imprevedibilità e la fallacità. Ho chiamato il mio progetto "Il formicaio", che è l'immagine che più mi sembrava rispecchiare questa idea di piccole vite umane che abitano degli spazi e li costruiscono, per poi vederli cambiare con il passare delle generazioni che vivono in un determinato spazio. La casa è un guscio permeabile, che attraverso un ventre osmotico pulsa nella sua interazione tra il mondo dentro e quello fuori. Movimenti spasmodici, viscerali. Una formica si ritaglia il suo spazio, lo accessoria, lo respira, ne diventa il nucleo. È il centro di qualcosa che possiede dei confini frastagliati, confusi. La formica si sposta, in questo microrganismo disumano, in questa trasfigurazione temporale. Direziona le zampette sottili, si fa carico di tutto quello che serve: chicchi di grano, briciole di pane cadute da una bocca distratta. Quando il guscio si sarà rotto, lo spazio sarà sempre spazio, e il tempo sarà sempre tempo.Altre formiche accudiranno le larve, sedimenti calcarei sul fondo di un bicchiere. Soltanto, una matrioska. Materiali edili. Gusci diversi, rotti, impilati uno sull'altro. Così siamo noi.

© Sofia Dora Chilleri - Lomo'Instant Automat

Quali tecniche creative hai sperimentato per questo progetto? La tua ricerca ha portato a qualche scoperta interessante di cui vorresti parlarci?

Sinceramente io mi sono divertita. Ogni cosa nuova porta nuovi confronti e scoperte, ma ci vorrebbe sicuramente del tempo in più per sperimentare e approfondire. Ma mi sono divertita, e questo è tutto quello che conta!

Hai progetti o collaborazioni interessanti in programma legati alla fotografia analogica?

Ogni cosa che faccio la considero parte di un grande progetto creativo che non so veramente dove andrà a parare, se non al fare qualcosa che mi va di fare e mi piace fare. La maggior parte dei miei scatti è pensata per essere inserita in un contesto di 6-9 scatti che insieme danno il senso del tutto, ma in generale non sono troppo analitica, mi piace seguire le idee e il loro flusso sul momento per non perdere freschezza. Considero ogni serie come una piccola biografia del sentire, qualcosa che fa parte di un grande tutto. L'ultimo progetto che mi ha coinvolta da un punto di vista professionale è stata la collaborazione con il centro culturale italiano di Minneapolis, che mi ha scelta per realizzare degli scatti per la loro home page, con il fine di dare un'immagine di bellezza italiana. Non avevo mai scattato su commissione ed è stata una bella sfida, che mi ha soddisfatta nel risultato finale.

© Sofia Dora Chilleri - Lomo'Instant Automat - The Jackson Pollock Band

Segui Sofia Dora sul suo profilo Instagram per vedere tutti i suoi lavori.

เขียนโดย melissaperitore เมื่อ 2023-06-15 ในหมวด #gear #dianaf #medioformato #lomodiana #spaziolabo

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